sabato, dicembre 17, 2005

Tenerezza: dove sei?

Ai giorni nostri è difficile parlare di tenerezza. Oggi i gesti affettivi sono ritrosi, timidi e sfuggenti come avessero pudore di farsi cogliere. E’ l’aridità affettiva che, purtroppo, domina il presente. Si può dire che oggigiorno si nasce con l’inibizione affettiva stampata addosso, e si cresce rigidi, delimitando uno spazio vuoto intorno al corpo.
Ai pochi gesti affettivi si ricorre per obbligo: partenze, lutti, occasioni solenni…ma vi si ricorre sempre furtivamente. Il bacio o l’abbraccio è rapido e schivo, si ha sempre il bisogno di ricomporsi il più frettolosamente possibile nel nostro assetto normale. Anche ai bambini e ai giovani le carezze sono “somministrate” con assoluta moderazione, quasi a non tradirsi, a non scoprire una debolezza vergognosa.
Il trasporto affettivo è considerato una mancanza di nerbo, disonorevole se non in particolari circostanze. E così i bambini, i ragazzi crescono schivi, timidi e chiusi in se stessi. La paura di tradirsi e scoprirsi, di rivelarsi e di creare comunione e di spalancarsi dinanzi agli altri è causa fatale di un progressivo isolamento. Se si vuole comunicare veramente bisogna comunicare con tutto se stessi. Il corpo è espressione dell’anima ed il linguaggio dei gesti è il lessico dello spirito. Se il calore umano non si manifesta all’esterno, vuol dire che è carente anche nell’intimo…esso si è ridotto ad una fiammella esitante che il vento dell’orgoglio incessantemente minaccia. Di quale orgoglio, poi? La superbia di non voler far vedere come si è fatti, di non mostrarsi come quello che invece si è chiamati ad essere…

La nostra mente è così contorta: ora c’è anche questa strana vergogna.

Dove c’è riserva mentale non c’è dialogo; dove comanda il ritegno non c’è confidenza. Si vive accanto agli altri ma non insieme… Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Gli abbracci plateali, le smancerie, i baci schioccanti,…fanno parte della medesima menzogna. La menzogna di non voler apparire per quel che si è, di fingersi altri e diversi, di voler distendere sull’anima una fitta cortina; e tutto questo perché gli altri non ci conoscano. E poi, ipocriti, deploriamo un destino di solitudine.